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07 Maggio 2014

Inglese di nome, pugliese di fatto

Nella sartoria di Ginosa, Angelo Inglese crea camicie, giacche e cravatte, con le antiche tecniche artigianali di famiglia che conquistano ministri e reali

Mai sottovalutare chi varca la soglia del proprio negozio. E se l’abito non fa il monaco, da Angelo Inglese la camicia fa il principe. E anche il primo ministro e ilmagnate. «Incredibile se ci penso. Conosciamo i nostri clienti importanti, ma tante volte non ci rendiamo conto di chi ci viene a trovare». 

In effetti, a Ginosa, poco più di ventimila abitanti a 50 km da Taranto e a poca distanza dal Mar Ionio, in una Puglia aspra e selvaggia, fino a qualche tempo fa ci si capitava, non ci si andava.
E, invece, oggi il clamore mondiale innescato da questa sartoria suscita ben più interesse di quel magnifico paesaggio naturale di canyon e grotte, dove Pasolini scelse di ambientare “Il Vangelo secondo Matteo”. Era il 1964. «La nostra sartoria c’era già. La fondarono nel 1955 mia nonna, maestra camiciaia, e i miei zii sarti. I tessuti erano la specialità di mio padre, Giovanni. A lui è dedicato il nostro marchio “G. Inglese”».

 



Quando un cognome segna il destino di un uomo. Come un ago che imbastisce la trama del futuro. Oggi, infatti, quella degli Inglese è la sartoria più ambita dal Regno Unito. «Nel 2011 un gruppo di ragazzi inglesi entrano nel nostro negozio per acquistare alcune camicie. Dopo la loro partenza, ci ricontattano. Scopriamo che sono amici del principe William, prossimo alle nozze», a cui evidentemente far palpare la qualità artigianale sopraffina del laboratorio pugliese. Partono i contatti con la sartoria reale e da Buckingham Palace arrivano le misure del rampollo dei Windsor. «Abbiamo inviato alcuni prototipi affinché potessero optare la loro la scelta e, il giorno delle nozze (29 aprile 2011), il principe indossa la nostra camicia».

 


La risonanza è mondiale, miliardi di persone seguono l’evento in mondovisione. «Io avevo la diretta telefonica con la CNN. Dal giorno dopo, fioccavano le offerte di acquisto del mio marchio. Quella più sensazionale proprio dall’Inghilterra». Angelo la valuta a lungo, si consulta con persone competenti, pensa ai suoi dieci “artigiani” specializzati che realizzano pezzi unici in un’azienda a conduzione familiare, dove, insieme a lui, lavorano la madre, la sorella e la moglie. «Dopo sei mesi l’ho rifiutata. Ho a cuore le collaborazioni con gli artigiani del territorio e voglio far tesoro della mia terra, la Puglia, che mi ha stregato e che mi ha trattenuto dalla tentazione di scappare».
 


Questo istinto di appartenenza lo lega al suo paese come quell’impuntura in filo di seta che adorna gli orli delle sue camicie, impreziosite da asole ricamate e bottoni in madreperla, tutto cucito a mano in venticinque passaggi per venticinque ore di lavorazione a pezzo. «Siamo gli unici in Italia a farle così: una per volta, per ognuna un taglio perfetto e una vestibilità più confortevole».

Ogni capo è unico, con infinite variazioni nella modalità di rifinitura. «I tessuti arrivano dalle più rinomate aziende italiane, svizzere e inglesi, il massimo». Dall’archivio di famiglia prendono forma anche le giacche “a mappina”, senza fodera, destrutturate, con la tecnica sartoriale di un tempo, quando si realizzavano dagli scampoli di tessuto assemblati a mano. «Vittorio Sgarbi le indossa con disinvoltura.


Oggi hanno un grande successo nel mondo e sono fra i nostri capi più venduti in America e in Giappone, un paese che recepisce il made in Italy con la cultura dell’autentico, e non con quella del marchio». Lo testimonia l’ex primo ministro nipponico Yukio Hatoyama, che da anni ha affidato il suo stile al sarto pugliese, un talento che straripa persino nel “sol ponente” e conquista il magnate messicano Carlos Slim, l’uomo più ricco del mondo. «L’ho incontrato a Milano che indossava camicia e cravatta fatte da me».
 


A quarant’anni Angelo Inglese ha conquistato il mondo e, al calcolo di fatturato sembra anteporre quello di ordito. «Ho comprato un palazzo quattrocentesco, l’antica dimora di un arciprete, con affaccio sulla gravina di Ginosa. Diventerà la sede della nostra sartoria, con atelier, foresteria e zona benessere per far star bene i nostri clienti e amici. Li tratteniamo più di un giorno per personalizzare al massimo i capi che scelgono e vorrei che si sentissero come a casa loro». Il futuro è nel paziente recupero della tradizione artigiana e di un antico paesaggio. «Un tesoro prezioso, come il prodotto italiano, perché ha il privilegio di raccontare una storia autentica, quello che noi siamo».


Sabrina Merolla © Copyright 2014. Tutti i diritti riservati.

Articolo pubblicato online sul mensile ITALIA A TAVOLA 

 

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