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07 Luglio 2014

Salento: le albe del faro e i tramonti del Mulino a Vento

Viaggio in Terra d’Otranto, tra baie leggendarie e campagne assolate, dove scenari paesaggistici di rara bellezza riservano scoperte gastronomiche, artigianali e ricettive che tributano all’antica tradizione salentina.

La Puglia custodisce il lembo di terra più orientale d’Italia, un’estrema falda nel sud-est della penisola salentina che si raccoglie intorno a Otranto, la città italiana che vede per prima sorgere il sole. Questo ciglio levantino si protende sulla costa in lunghe fasce sabbiose fatte di baie abbracciate da ruvide scogliere che, imponenti, delimitano l’affaccio adriatico degli spazi interni.
 


 

Il limite terrestre è segnato dal Faro di Punta Palascìa, uno dei cinque fari del Mediterraneo tutelati dalla Commissione Europea. È meta ambita e ricercata da chi vibra della poesia dell’alba che può essere goduta ai suoi piedi e che la notte di San Silvestro richiama una moltitudine di persone in attesa che sorga il nuovo anno in Italia.
Eccomi a Capo d’Otranto che, secondo le convenzioni nautiche, è il punto di separazione tra il Mare Adriatico e il Mar Ionio. Da qui si scorge la costa albanese, distante appena 75 km nel punto più stretto del canale.



La fascia costiera che conduce a Leuca, nel finis terrae all’estremo sud, è un susseguirsi di scenari brulli, a strapiombo sul mare, che fanno di questo percorso una delle strade panoramiche più belle d’Italia. Lo attestano anche le più autorevoli guide del Touring Club italiano. Nel suo tratto iniziale, a meno di 8 km da Otranto, si apre l’incantevole insenatura di Porto Badisco che la leggenda considera il mitico approdo di Enea, dopo la fuga da Troia. Irrinunciabile un tuffo a ogni fiordo, per poi immergersi nell’assolata campagna dell’entroterra, sempre poco distante dal mare. Distese di uliveti e vigneti, puntellati dalla vivida macchia mediterranea, sconfinano nei cieli bassi e liquidi che ammantano paesi custodi ancora oggi di tradizioni secolari e testimonianze della civiltà contadina del mediterraneo.

 

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A brevissima distanza dalla rada dell’eroe virgiliano, e ad appena 6 km da Otranto in direzione interna, raggiungo Uggiano La Chiesa, poco più di 4.000 abitanti insieme all’attigua frazione di Casamassella, con un patrimonio di risorse agroalimentari che lo annoverano nella rete delle città del pane e dell’olio, i due prodotti simbolo di questa terra. Questo piccolo borgo rurale accoglie i visitatori nella graziosa piazza centrale, fulcro della vita del paese, dove sorgono gli antichi monumenti che ne raccontano la storia e le tradizioni. Imperdibile il colpo d’occhio alla facciata della chiesa matrice, patrimonio architettonico del Settecento, che rappresenta uno splendido esempio di transizione dal barocco al neoclassico. L’imponenza della pietra gialla, il carparo salentino, sembra contagiare tutta la piazza dove si erge, ancora integra, una torre di avvistamento, presidio a protezione di Otranto, quindi “vigilarium” da cui deriverebbe il nome del paese.
 

La chiesa matrice di Uggiano La Chiesa, borgo salentino  a 5 km da Otranto
 

Baciata dal sole, mi inoltro nella campagna. Direzione, località Mulino a Vento. La chiamano così perché, secondo la leggenda, proprio qui un uomo tentò di usare l’energia del vento per azionare il frantoio ipogeo (trappitu) scavato in questo luogo e alleviare le sue fatiche. La struttura risale al 1688 ed è stata attiva per più di due secoli. Si scende in una grotta scavata nella roccia, con diversi ambienti, ognuno adibito alle varie fasi di lavorazione delle olive che venivano macinate sotto grandi pietre molari, fatte girare da un asino.
 

 Il frantoio ipogeo del Mulino a Vento Resort, a Uggiano La Chiesa, Otranto (Le)
 

Il frantoio, aperto alle visite, è stato integralmente ristrutturato dalla famiglia D’Alba che ne ha creato attorno il Mulino a Vento Resort (Via Porto Badisco - Uggiano La Chiesa www.mulinoavento.it) immerso tra gli ulivi secolari, per favorire il contatto con la rigogliosa natura circostante. Il luogo è un invito a vivere i colori e i profumi del Salento, dalla prima colazione agli infuocati tramonti a bordo piscina, magari distesi a sorseggiare un calice di Malvasìa.
 

Il Mulino a Vento Resort nelle campagne di Uggiano La Chiesa, Otranto (Le)


In quest’oasi di serenità, la cucina è semplice e genuina, fondata sui piatti tipici locali della tradizione salentina. Il ristorante utilizza prodotti e ricette che solo la Terra d’Otranto offre, come gli emblematici Ciciri e tria, un piatto di archeologia culinaria. La “tria” è una sorta di tagliatella fatta con acqua e farina e condita con i “ciciri” (ceci). Gli scarti di pasta vengono tagliati a pezzi irregolari e fritti, ottenendo i cosiddetti “frizzùli” che danno al piatto una consistenza croccante, esaltata dall’aroma di cannella e chiodi di garofano.

Un piatto di "Ciciri e tria", ricetta tipica salentina

 

Il mio viaggio nel gusto prosegue affondando nelle suggestioni di un tempo passato. Pochi chilometri, anche in bici, e siamo nella frazione di Casamassella dove una residenza di campagna, annunciata da un folto bosco di querce e ginestre, ospita la Fondazione Le Costantine (Via Costantine/Frazione di Casamassella - Uggiano La Chiesa - T. 0836. 812110 www.lecostantine.eu), votata a elevare in spirito ed economia le donne del paese. La visita a questa tenuta biodinamica riserva un laboratorio di tessitrici che, “cantando e amando”, riprendono con maestria e dedizione tecniche di tessitura risalenti anche a centinaia di anni fa. Dagli antichi telai di legno a quattro licci prendono forma manufatti preziosi, realizzati con fibre e colori naturali o con tinture vegetali. Sfilano tappeti, magnifici arazzi, asciugamani, tovaglie e sciarpe in cashmere. Ogni prodotto realizzato dalle donne di Casamassella è contrassegnato da un’etichetta, a garanzia di eccellenza e autenticità. I colpi del telaio scandiscono trame e orditi e si confondono con la voce incontaminata della natura circostante.
 

Sabrina Merolla con le tessitrici della Fondazione Le Costantine di Casamassella, frazione di Uggiano La Chiesa, Otranto (Salento, Puglia)


La scoperta dell’artigianato salentino prosegue verso sud, a Tricase, dove mi concedo una giornata in bottega dallo scultore ceramista Agos Branca (Via Tempio, 32 - Tricase www.branca.le.it) che, con la sua abilità manuale, ha reso la ceramica popolare salentina un tesoriere di ricerca culturale e stilistica. La sua specialità è la maiolica che forgia gufi e civette e si esalta nelle forme smaltate dei magnifici “uccelli della pioggia”, oggetti emblema della sua produzione artistica.



Il coinvolgimento artigiano irrefrenabile. Mi siedo al tornio e mi abbandono all’argilla che ruota fra le mani, fino a dar forma al mio senso di scoperta, sotto la guida coinvolgente e spronante del maestro che fornisce materiale e arnesi. L’alternativa è aggirarsi nel fitto crogiuolo di oggetti della civiltà contadina locale sublimati a opere d’arte, e perdersi nella scelta del ricordo da portare a casa.




L’evasione trova sempre spunti formativi e io assecondo la mia brama di scoperta sollevando una lucerna in terracotta. Scopro che si usava per andare a caccia di cozze monicedde, non quelle marine ma quelle terrestri. Così i salentini chiamano le lumachine che spuntano dal terreno umido, dopo la pioggia per naufragare in una teglia condite con olio, cipolla, alloro e un bicchiere di vino bianco secco.


Il richiamo enoico mi conduce a Galatina, nel cuore del Salento dove su un’altura infoltita da un bosco, si staglia la Cantina Santi Dimitri (Contrada Santi Dimitri - Galatina  www.santidimitri.it), con una proprietà rurale di 200 ettari, di cui 60 coltivati a vigneto. La vocazione agricola della famiglia Vallone risale alla fine del Seicento e affiora in un influsso d’avanguardia. Nella fiera pratica di agricoltura sostenibile a basso impatto ambientale, questa è fra le cantine più innovative della Puglia, con una bottaia ipogea che riserva un’intera parete a vista di “dolomia di Galatina”, una roccia calcarea da cui pergola acqua al tatto. Santi Dimitri è il brand dell’omonima azienda agricola, coniato nel 1996. Deriva da San Demetrio (o Dimitri) e sta per “dedicato a Demetra”, dea del grano e dell’agricoltura, costante nutrice della gioventù e della terra verde, artefice del ciclo delle stagioni che accompagnano il vino a invecchiare.

Il gusto sprofonda nella Gelatina di Mosto di quel vino Negroamaro che riposa ad affinare nelle botti in rovere di Slavonia.


 

Tutt’attorno un manto silente di fusti legnosi, forzieri dell’oro rosso del Salento, infuocato da un nuovo tramonto.

Buon vento.

 

Sabrina Merolla © Copyright 2014. Tutti i diritti riservati.

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